Persone


Melillo Philip Thomas

Philip Thomas Melillo nasce a Newark, nel New Jersey, il 26 ottobre 1952, da una famiglia di italo americani di seconda generazione. I nonni paterni venivano da Teora in provincia di Avellino, e quelli materni dalla provincia di Potenza. Durante l’estate il padre Phil Senior si occupava, insieme al fratello maggiore Billy nato nel 1940, e alla madre Louise Nardiello, di un albergo a Point Pleasant Beach a sud di New York, mentre da ottobre ad aprile gestiva un grande magazzino.

Insieme al suo gemello Robert, trascorsero un’infanzia serena a Newark, in un quartiere di italo americani, imparando i numeri e le parole in italiano dalla nonna, che abitava sotto di loro. Phil prediligeva il gioco con la mazza, il baseball, mentre Robert si dilettava con la palla ovale, il football americano.

Phil frequentò i primi quattro anni di Elementary School a Newark, finendo gli altri due a Bloomfield, nuova residenza famigliare sempre nel New Jersey, per farvi sia la Middle School che la High School, concludendo il ciclo scolastico.

Dopo i primi fuoricampo giovanili, pur avendo Phil una buona predisposizione per il baseball, quando era a Bloomfield gli venne prima l’illuminazione per il basketball, dopo una gara di tiro vinta con il maggior numero di canestri in sessanta secondi, e poi la passione a 15 anni, dopo essere stato selezionato e tagliato dalla squadra dell’istituto. Phil trasforma la sua profonda delusione nella rabbia positiva, che forgia il carattere e che fa crescere l’autostima del Melillo quindicenne, e passa l’estate ad allenarsi tutti i santi giorni, mattina e sera o 24/7 come si direbbe oggi, addirittura dando un dollaro ai ragazzini per passargli la palla e tirare più velocemente. Tira 500 volte e poi ricomincia.

A settembre si ripresenta e stavolta viene preso, diventando un punto di riferimento per la squadra. L’estate seguente a 16 anni intensifica il lavoro e frequenta un campus di una settimana, dove conosce l’allenatore dell’Università del Delaware, tale Dan Peterson che ritroverà ancora. Diventa capitano della squadra, il miglior marcatore a partita con 22 punti e comincia farsi notare come tiratore e realizzatore.

Nel 1970 dopo l’High School, vince una borsa di studio per un Junior College del Delaware, il Goldey-Beacom, dove rimarrà due anni, aumentando le sue doti realizzative a 25 e 30,9 punti a partita. A 1,78m non è altissimo per la pallacanestro, ma la sua tenacia unita alla potenza muscolare e alla sua precisione di tiro lo fanno emergere.

Nella foto sotto riportata, sgranata dal tempo, vediamo Dan Peterson nei suoi pantaloni scozzesi, ancora lui, che per conto della famosa rivista sportiva "Sport Illustrated" premia Phil e un suo compagno Tom Husser, con una coppa d’argento, per aver segnato 52 punti in una partita, sotto lo sguardo orgoglioso del loro coach a Goldey-Beacom, Harry “Boots” Reed.

Tra un canestro e un esame di Economia e Commercio, per non essere escluso dalla squadra, nel secondo biennio di studi universitari Phil passa un primo semestre a Murray State con Marcellone Starks, e poi al Wilmington College, dove mantiene la media di 23 punti a partita, è il miglior giocatore della squadra e si laurea nel 1975.

Inizia a lavorare, ma il sogno si chiama NBA, e quindi in agosto si presenta al camp dei Philadelphia 76ers, restando tagliato a settembre dall’ultimo terzetto su 130 aspiranti professionisti. Avrebbe esordito nei Sixers di quella stagione insieme a tale Jerry Baskerville e ai più famosi World B. Free e Darryl Dawkins, oltre a quel Joe Bryant che ritroverà a Rieti in Italia.

Già l’Italia dei suoi avi si avvicina, e dopo essersi allenato e tenuto in forma per un anno, nel 1976 riceve l’offerta di Richard Kaner di far parte di una selezione per i tornei estivi in Italia. Era l’anno degli oriundi e le possibilità erano parecchie. Dopo essersi allenato a Varese per un paio di settimane con la squadra di Kaner, Phil parte per la Sicilia e partecipare ai tre tornei di Mondello, di Cefalù e di Messina.

L’esposizione cestistica è notevole, anche perché in squadra c’è il miglior playmaker sotto 6’0 degli Stati Uniti, Frank Alagia da St.John’s, e nientepopodimeno che The Chief dei tre anelli futuri dei Boston Celtics degli anni Ottanta, al secolo Robert Parish da Centenary College con 24,8 punti, 18 rimbalzi e 1,8 assist a partita nell’ultima stagione NCAA, in rotta di collisione contrattuale con i Golden State Warriors che l’hanno scelto con il numero 8 assoluto nel draft NBA.

Ritrova per la terza volta il suo amico Dan Peterson, che lo rivorrebbe come oriundo alla Synudine Bologna campione d’Italia, a dividersi il ruolo con l’altro playmaker Carlo Caglieris, ma l’offerta di Giancarlo Asteo di guidare la GBC Lazio per 40 minuti è più convincente e Melillo farà una stagione con i fiocchi, a 27 punti a partita, salvando la squadra da una retrocessione quasi certa, per l’infortunio dell’americano Tom Kozelko, che non poteva essere sostituito in corso di stagione. Di quel primo campionato vanno ricordate le due partite a 44 punti, i 920 punti finali in 34 partite, e allego i tabellini delle due sfide contro il Cinzano Milano:

II giornata – Domenica 24 ottobre 1976 – Milano, Palazzetto Lido - ore 17.30

CINZANO MILANO–GBC TV COLOR LAZIO 111-91 (59–42)

CINZANO MILANO: Francescatto (6), Brumatti (16), Benatti (6), Bianchi (14), Ferracini (17), Hansen (11), Vecchiato (8), Menatti (33), Friz (n.e.), Gallinari (n.e.). All. Faina.

GBC TV COLOR LAZIO: Melillo (29), Kozelko (30), Rossi (2), Corno (14), Cirotti, Antonelli M. (6), Santoro (5), Tassi (2), Manzotti (3), Sforza. All. Asteo.

Arbitri: Maurizzi e Sammarchi di Bologna.

Note: 3.000 spettatori. Tiri liberi: Cinzano Milano 19/26, GBC Lazio 13/21. Usciti per 5 falli: Corno, Manzotti, Santoro, Hansen.

Una grandissima Cinzano piega una Lazio più che apprezzabile. Grande prova dei due oriundi in campo: Melillo e Menatti. I romani resistono sino al 5' (15-15) poi i milanesi allungano senza più essere ripresi. Decisiva la batteria dei lunghi di casa: Hansen, Vecchiato, Ferracini. Buona la prova di Kozelko (6/7 da sotto e 6/10 da fuori).

XIII giornata – Domenica 26 dicembre 1976 – Roma, Palazzetto dello Sport - ore 17.30

GBC TV COLOR LAZIO–CINZANO MILANO 79-104 (29-41)

GBC TV COLOR LAZIO: Melillo (24), Kozelko (20), Rossi (19), Corno, La Guardia (2), Antonelli M. (8), Santoro (4), Tassi (2), Manzotti, Sforza. All. Asteo.

CINZANO MILANO: Francescatto (n.e.), Brumatti (20), Benatti (11), Vecchiato (2), Menatti (17), Boselli D. (6), Ferracini (9), Hansen (22), Bianchi (16), Friz (n.e.). All. Faina.

Arbitri: Ugatti G. e Ugatti V. di Salerno.

Note: 2.500 spettatori. Tiri liberi: GBC Lazio 21/27, Cinzano Milano 10/13.

Santo Stefano amaro per una GBC che riesce a contrastare "le scarpette rosse" solamente sino al quarto d'ora del primo tempo, poi, per ben 6 minuti, la squadra di Asteo non riesce ad andare a canestro. Alla lunga i centimetri, il ritmo e la qualità degli ospiti hanno il sopravvento. Nella Lazio Kozelko, che perde nettamente il confronto con Hansen, è ancora frenato dai dolori alla spalla che lo hanno fermato per alcune settimane; Rossi si conferma ancora una volta elemento su cui contare. Tra i milanesi bene Benatti (che mette la museruola a Melillo), Brumatti e Bianchi.

L’anno finisce in gloria quando conosce la sua futura moglie Maria Vittoria “Mavi” Fara, giocatrice di serie A nell’Algida Roma, che si allena nello stesso palazzetto. Si sposano a Sassari nel 1978 e nel 1990 nasce la figlia Martina a Cagliari.

Ma poi succede l’imprevisto, con le regole che cambiano e l’anno seguente gli oriundi non sono più tesserabili, avendo la FIP deciso l’introduzione del secondo straniero. Inoltre, l’orientamento delle squadre è di tesserare due lunghi stranieri, e anche la GBC sceglie questa strada, forse memore dell’infortunio subito da Kozelko l’anno prima.

Phil resta fermo un anno, ma nel 1979 il suo amico Dan e il presidente Bogoncelli, decidono di tesserarlo come sostituto di Mike D’Antoni. Il tentativo ideato dal Bogos è semplice e ambizioso, giocare con 2 stranieri, più l’italiano Mike Sylvester già “italianizzato”, e i due ex-oriundi del 1977, Chuck Menatti e Phil Melillo, che chiederanno il tesseramento da italiani.

La Federazione, temendo una mezza rivolta da parte delle altre società di vertice, nega il tesseramento, e anche il ricorso di Melillo e Menatti, assistiti dalla società, viene respinto dal pretore. Phil non indosserà mai la maglia Billy, e nemmeno quella azzurra, perché addirittura sarebbe potuto andare alle Olimpiadi di Mosca come azzurro, lui che era italiano a tutti gli effetti, insieme a Mike Sylvester.

Per una cavillosa ingiustizia Phil si ritrova con un lauto triennale, ma senza la possibilità di giocare né da italiano né da straniero, per il ritorno a Milano di Mike D’Antoni che non ha ottenuto il contratto dai pro che desiderava. Nel Billy fece solo qualche torneo estivo con la maglia #7.

Phil si allena un anno con il Billy senza giocare, poi il suo contratto viene risarcito con un’annualità intera, e su suggerimento di Petrucci, gli viene anche regalato il cartellino, che non era di sicuro a buon mercato. Phil di questo è consapevole, riuscendo a sbarcare bene il lunario, con buoni contratti, giocando in Serie C per tre anni a Rieti, Viterbo e Cagliari. Nel 1983 tornò in Serie A2 con il Benetton Treviso, l’anno dopo ancora in A2 a Rieti, dove giocò con Joe Bryant, e infine nel 1984 in Serie A1 con il BancoRoma. Poteva giocare in Serie A da almeno sei anni prima, magari a Milano, ma pur essendo ancora un ottimo giocatore ha perso lo smalto atletico dei vent’anni.

Oggi gli resta tanta nostalgia per quello che gli è successo, essendo già italiano, alla luce delle vicende dei tesseramenti attuali che danno il cartellino a chiunque. Poteva andare all’estero come straniero, con il cartellino in mano, ma non l’ha fatto per amore della moglie e della Sardegna, che gli è entrata nel cuore.

Dopo il BancoRoma si infortuna e scende in Serie B a Cagliari per due stagioni, dove inizia ad allenare le giovanili e diventa capo allenatore in B2. Nel 1994 esordisce come capo allenatore sulla panchina di Forlì, in serie A2, squadra con la quale raggiunge subito la promozione in serie A1.

Nel suo curriculum una Supercoppa Italiana vinta nel 1996 sulla panchina di Verona ai danni di Milano, un'altra storica promozione in serie A con Roseto degli Abruzzi e la conquista dei play-off di serie A per quattro volte con tre squadre diverse: Siena, Roseto e Pesaro (raggiungendo la semifinale scudetto, la finale di Coppa Italia e la qualificazione all'Eurolega).

A questi risultati si aggiungono quattro partecipazioni alle coppe europee sulle panchine di Siena (Coppa Korac), Udine (Coppa Saporta), Roseto (ULEB Cup) e Pesaro (Euroleague).

Ritorna ad allenare a Roseto degli Abruzzi nelle stagioni 2013 e 2014. Si stabilisce definitivamente nella cittadina adriatica, sede del famoso Torneissimo, dove ha acquistato un’edicola nel 2011 e che ha gestito fino alla pensione di quest’anno. La foto che ha scelto e inviato Phil, rappresenta tutta la grinta e la passione di Melillo allenatore a Roseto.

IMMAGINI ALLEGATE

Phil Melillo premiato da Dan Peterson (Archivio Melillo)

Phil Melillo al tiro (Archivio Melillo)

Phil Melillo allenatore (foto inviataci da Melillo, presente sul sito www.roseto.com, Ciamillo & Castoria)