Racconti


Fabio Guidoni, il coach gentiluomo

Quando ci si appresta a parlare di una persona che ci ha lasciato, inevitabilmente si va a frugare nei ricordi, ma parlando di Fabio i ricordi sono talmente cari e limpidi proprio come se li stessi rivivendo.


Adoravo giocare a pallacanestro, frequentavo l’ISEF ed iniziavo le mie prime esperienze da allenatore, un insieme di impegni abbastanza importanti da mettere insieme.
Fabio era un po’ il mio traino, il mio faro: lo vedevo giocare in serie C al Pertusini Varedo con coach Franco Morini, allenava le giovanili Mobilquattro ed era sempre impegnato con studi di alto livello; “allora si può fare”, mi dicevo, con un’enfasi di rinforzo.

Fabio classe ’43, si laureò in seguito in ingegneria, la pallacanestro la imparò alla scuola Simmenthal con i due apostoli dei fondamentali: il signor Borella e ed il prof. Fassi con il quale vinse un campionato italiano Junior.

Alcune istantanee di Fabio che mi riappaiono pensando a lui sono: innanzitutto quel cardigan rosso che indossava sempre alle partite, non so se era scaramanzia, casualità o avesse per lui una predilezione;
seconda istantanea era il vederlo quando arrivava in palestra in giacca e cravatta e con quella borsa di cuoio nero: copriva un incarico importante alla Shell ed ammiravo in lui il fatto che la laurea in ingegneria l’avesse ottenuta con uno slalom dai pali molto stretti tra intenso studio ed ottimo basket.

Ricordo quella sua gentilezza nei rapporti interpersonali e quella pacatezza nel gestire il suo ruolo di allenatore: gli era stato affidato un ottimo gruppo Junior dalla Mobilquattro.
Mi capitò, da giovanissimo allenatore del club di via Monreale, di doverlo supplire in un allenamento: ero orgoglioso per la responsabilità affidatami, ma parimenti preoccupato. in quanto immaginavo che con l’assenza del coach subentrasse nei ragazzi un po’ di rilassatezza. Avvenne invece il contrario e quando lo feci notare ad un dirigente, questi mi rispose: “Sai, Guidoni abitua i ragazzi così e le sue squadre sono la sua immagine”.
Non dimentico come fosse sua abitudine premettere sempre ”Signor…” al nome di custodi e addetti delle palestre.

Maumary, presidente del Geas, non aveva perso d’occhio Guidoni fin da quella esperienza con la Mobilquattro, squadra che era diventata a poco a poco “il secondo pezzo di cuore” dell’”Ing.”.

Maumary apprezzò come, in seguito, Fabio avesse fatto crescere la seconda squadra di Sesto, la Gbc del presidente Giuseppe Villa, altro personaggio di ottimo fiuto con gli allenatori.
Quando si arrivò alla fusione tra le due squadre di Sesto, Villa propose come coach per le rossonere proprio Guidoni: Maumary accettò al volo, superando così il disorientamento successivo alla partenza di Dante Gurioli.

Una conversazione avuta con Fiorella Alderighi, moglie di Fabio, che ho allenato quando ero vice-allenatore alla Standa ci porta verso quella meravigliosa gara che regalò a Sesto lo scintillio in bacheca della coppa più preziosa: “Fabio era felice di essere arrivato a guidare una grande squadra con la quale vincere cose importanti. E così fu, attraverso la grande professionalità delle ragazze, anzi, scrivi pure professionismo. Non mi ha mai nascosto che talvolta fu necessario scambiare qualche idea, ma grazie al suo feeling con quel meraviglioso gruppo, tutto si risolse sempre positivamente, proprio come nelle migliori famiglie”.
E arrivò l’accoppiata scudetto-coppa, come nei sogni della società.

Purtroppo la salute tradì molto presto Fabio.

Il Geas organizzò per l’8 Aprile 2018 una grande festa per il 40° anniversario della vittoria della Coppa Europa con la presenza di Mabel Bocchi e gran parte delle protagoniste di quell’incontro.
Provai a sentire Fiorella per sapere se Fabio potesse essere presente anche solo per qualche minuto, ma mi fece capire che era veramente impossibile per lo stato in cui versava; mi regalò però una grande manifestazione di amicizia da parte di Fabio e sua: “Sai… capisci… non potremo essere presenti alla festa dell’8 aprile, anche se con il cuore ci saremo. Per favore sii tu là in nostra presenza”.
“Ci sarò senz’altro, cari, e con tutto il cuore”, fu la mia risposta.

Fabio si diede da fare moltissimo per il quartiere Feltre, dove viveva, e per i suoi giovani.
Si attivò per tenere viva la seconda squadra di Milano fondando con alcuni appassionati la Pallacanestro Milano e curando in prima persona l’attività di moltissimi gruppi della società iscritti a vari campionati giovanili.

Ricordo le sue parole di conforto quando mio padre mi lascio improvvisamente: “Sai i nostri cari da Lassù ci vedono e ci seguono, io in queste cose credo”.

Caro Fabio hai lasciato una traccia stupenda e luminosa nel nostro basket, in chi hai allenato e ti ha conosciuto; sappiamo che da Lassù ci vedi e segui ancora tutto il tuo basket, sempre con il tuo cardigan rosso, la cartella di pelle nera e soprattutto con quella meravigliosa gentilezza che ti contraddistingueva: noi ci crediamo.

Enrico Casiraghi (per Museo del Basket-Milano)