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Vincent Jay Fletcher

Jay Fletcher Vincent entra nella storia dell'Olimpia Milano sia come uno dei realizzatori più produttivi sia per essere stato tra i protagonisti di una delle annate più incompiute dei biancorossi, culminata con la cocente sconfitta patita con Caserta nella finale scudetto del 1991.

Nato a Kalamazoo il 10 giugno 1959, ma trasferito con la famiglia nella vicina Lansing, Jay Vincent diventò ben presto prima rivale (al liceo) e poi amico per la pelle dell'idolo locale Earvin "Magic" Johnson.

I due coscritti decisero di firmare nel 1977 per gli Spartans della Michigan State University, allenata da coach Jud Heathcote, che sarà in seguito l'Alma Mater anche del fratello di Jay di nome Sam (poi giocatore e allenatore nella NBA).

Al loro secondo anno, assieme a Greg Kelser, vinsero il titolo NCAA sconfiggendo 75-64 nell'epica finale la squadra di Indiana State di Larry Bird; in quell'occasione Vincent segnò solo cinque punti in quanto convalescente da una frattura da stress patita nelle settimane precedenti.

Mentre le sirene della NBA diventarono irresistibili per Magic Johnson, il percorso universitario di Jay Vincent proseguì regolarmente fino al 1981; le sue doti di realizzatore non calarono dopo la partenza di un assist-man come Johnson ma ebbero un'ulteriore impennata. Sia nell'anno da junior che in quello da senior, Vincent dominò la classifica dei marcatori della Big Ten (21.6 punti nel 1979/80, 22.6 nel 1980/81), venne nominato nel quintetto All American del 1981 e di seguito scelto dai Dallas Maverick al n.24 (seconda scelta) nei Draft dello stesso anno.

Sotto la guida di coach Dick Motta, Vincent fu incaricato di sostituire in quintetto l'infortunato Mark Aguirre e ripagò la fiducia producendo un primo anno da 21.4 punti a gara e la nomination nel Miglior Quintetto Rookies 1981. Di seguito fu trasformato in sesto uomo, senza per questo sminuire le proprie qualità offensive. Nelle sue cinque stagioni in Texas, Vincent segnò 6.784 punti in 406 partite.

Nel settembre 1986, Dallas decise di cedere Jay Vincent ai Washington Bullets in cambio di un diritto di scelta, ma fu per lui un'opportunità di carriera mai sbocciata ad alto livello. Iniziò quindi un peregrinare che lo portò ai Denver Nuggets per due anni, ai S.Antonio Spurs, ai Philadelphia 76ers e infine (a metà del 1989/90) ai Los Angeles Lakers dell'amico fraterno Magic Johnson, che vinsero la Pacific Division ma furono battuti dai Phoenix Suns nelle semifinali della Western Conference; coach Pat Riley però lo impiegò solo in 27 partite (208 minuti e 90 punti globali), segnale che il suo tempo nella NBA (dopo nove stagioni, 614 partite, 16527 minuti in campo, 9.219 punti segnati con il 47.0% dal campo e il 78/9% ai liberi, e 3344 rimbalzi) era ormai terminato.

Seguendo la rotta più in voga al tempo, Vincent giunse in Italia e nessuna piazza poteva avere più appeal di quella Milano che aveva ancora negli occhi le prodezze di McAdoo. Fu però un'eredità troppo pesante da gestire, anche per un veterano come Vincent, sotto il comando di Mike D'Antoni, al suo debutto come allenatore.

Nella formazione milanese, Vincent aveva il compito di suddividersi le responsabilità offensive con Antonello Riva, giocando in quintetti molto duttili, vista anche la presenza di Riccardo Pittis e un centro puro come Cozell McQueen. L'intento di D'Antoni funzionò per buona parte della stagione, con la Philips primatista in regular season con un bilancio di 21 vittorie e nove sconfitte. Vincent fu capace di grandi medie (concluse con 25,2 punti di media per un totale di 980 punti in 1356 minuti) e grandi exploit, come i 39 punti nel primo derby stagionale con Varese e i 41 inflitti alla Filanto Forlì.

Fu anche il miglior realizzatore della Coppa Italia con 217 punti in nove partite, ma questa competizione di concluse con la soprendente sconfitta 97-85 di Milano alle Final Four di Bologna contro la Glaxo Verona (che giocava in A2) di coach Alberto Bucci e dell'ex-Olimpia Russ Schoene. Una piccola avvisaglia di ciò che sarebbe poi avvenuto in campionato.  

Nei suoi primi playoff di Serie A, Vincent iniziò in sordina nei quarti di finale con la Stefanel Trieste che infatti fu battuta solo 89-86 in gara-tre, ma si riprese il palcoscenico nella semifinale contro il Messaggero Roma; contro la corazzata romana di Dino Radja, Michael Cooper e Roberto Premier, l'ala del Michigan segnò 23 punti a Milano ma soprattutto 30 nella vittoria esterna al PalaEur (90-105) che consentì a Milano l'accesso alla finale scudetto.

Nella sfida con Caserta che, oltre ad assegnare il titolo italiano del 1991, è passata alla storia per la sua carica di pathos, Jay Vincent rimase fedele ai suoi altissimi standard di rendimento, segnando 133 punti in cinque partite, di cui ben 32 nella sera del 21 maggio 1991 quando con l'88-97 Caserta conquistò il suo primo scudetto.

In quella gara, nonostante sia stato uno degli ultimi a cedere le armi, Vincent commise qualche errore di troppo dall'arco dei tre punti (3/12), alcuni nel momento in cui la Phonola stava colpendo pesante con Dell'Agnello e Milano era ormai entrata nel tunnel della sconfitta.

L'epilogo negativo dirottò Milano verso altre scelte di formazione (arrivarono Johnny Rogers e Darryl Dawkins) e Jay Vincent verso la Baker Livorno, formazione appena nata dalla fusione tra Libertas e Pallacanestro Livorno. Fece coppia con il pivot Elvis Rolle in una squadra che aveva ancora due reduci come Flavio Carera e Andrea Forti dalla finale scudetto contro Milano di due anni prima (ma in maglia Libertas Enichem).

Livorno concluse al decimo posto la regular season, e Vincent all'ottavo posto della classifica marcatori a 17 punti di media dall'immarcabile Oscar Schmidt di Pavia. A Vincent non riuscì la "vendetta" nei confronti dell'Olimpia, segnando in entrambe le occasioni 19 punti senza però impensierire la squadra di D'Antoni. Negli ottavi dei Playoff, la Baker affrontò senza successo la Stefanel Trieste di Dino Meneghin, e Vincent diede il suo ultimo contributo in terra labronica con 23 punti in 33 minuti. 

Nel 1992/93 le sue quotazioni erano ancora alte e firmò all'Auxilium Torino, forse nell'unica scelta certa dello staff di coach Federico Danna in un'estate travagliata per la composizione della coppia degli stranieri da affiancare a Alessandro Abbio e Carlo Della Valle. In una prima fase di risultati altalenanti, Vincent si segnalò per un paio di canestri allo scadere che permisero alla Robe di Kappa di sconfiggere Treviso (con anche 33 punti nel 112-110 finale) e Livorno con 29 punti da ex contro l'amico Micheal Ray Richardson. Al bivio di metà stagione, con una precaria situazione di classifica, iniziarono a presentarsi i primi problemi fisici, che ne determinarono la fine anticipata della stagione.

Cercò di riciclarsi per l'ultima volta a Udine alla ripresa della stagione 1993/94, scendendo in Serie A2; la sua autonomia non tornò più ai livelli di prima e dopo sole sei partite fu costretto ad abbandonare il Friuli e il basket giocato. 

Al termine della sua carriera professionistica, Vincent ha avuto, come tanti altri ex-pro, grossi problemi con la giustizia. Nel 2010 fu stato accusato di frode ai danni di più di 20.000 clienti (per false certificazioni), di frode fiscale, di emissione di assegni a vuoto e illegalità nella condotta di una fantomatica agenzia di rappresentanza di giocatori. E' stato condannato a più di 5 anni di reclusione, da scontare nel carcere di Ashland (Kentucky) e al risarcimento dei danni e alla rifusione del debito nei confronti del fisco. La sua pena detentiva dovrebbe terminare nel 2016.

IMMAGINI ALLEGATE

Jay Vincent

Jay Vincent

Jay Vincent

Jay Vincent conto la Benetton Treviso di Del Negro