Racconti


Il 'Trac', San Filippo e i Neri (by Roberto Bergogni)

Carissimi,
questo scritto non è tutta farina del mio sacco, altrimenti non avrei mai potuto portarlo alla luce. Si tratta di una collaborazione tra Andrea De Franceschi da Padova, che per primo me ne ha parlato qualche tempo fa, e di Piero Cocuzza da San Filippo del Mela, Messina, che mi ha ragguagliato con una cortesia che definirla d’altri tempi è scontato, ma che per noi cestofili incalliti è come offrire un bicchiere di vino buono all’ospite inatteso e sconosciuto.

Si tratta di un episodio che merita di essere riscoperto per la valenza cestistica, che ci riporta al tempo dei pionieri, che giocavano alla palla al cesto sulla terra battuta, e ci fa scoprire una fetta d’Italia dove il cuore della Pallacanestro batte da 75 anni almeno.

Innanzitutto non vi confondete, il titolo non contiene un refuso, non si tratta di San Filippo Neri, anche se quel toscano fondatore degli oratori, non è estraneo alla faccenda. Pensate un po’ che anche io, come migliaia di altri ragazzini, ho iniziato a tirare pallonate a quel ferro posto a 3 metri e zero cinque nel campo all’aperto disassato dell’Oratorio di San Sigismondo. Non c’era più la terra battuta, che sarebbe stata molto meglio dell’asfalto che grattava di più ginocchia e gomiti.

Quel San Filippo degli oratori mi è simpatico anche perché radunò attorno a sé un gruppo di ragazzi di strada, avvicinandoli alle celebrazioni liturgiche e facendoli divertire, cantando e giocando senza distinzioni tra maschi e femmine, in quello che sarebbe, in seguito, divenuto l’Oratorio, ritenuto e proclamato come vera e propria congregazione da papa Gregorio XIII nel 1575. Per il suo carattere burlone, fu anche chiamato il «santo della gioia» o il «giullare di Dio». E la faccenda che mi appresto a disvelare ha molto a che fare con la gioia e la burla.

San Filippo del Mela, in provincia di Messina, è un paesino ai piedi dei Peloritani, dove nacque il 2 gennaio 1923 un personaggio famoso, che nel 1939 già smaniava con un pallone di basket in mano, la pallonessa per essere precisi, da solo o con i pochi amici che condividevano quella passione da avventurieri. Quel bambino fu notato da un osservatore triestino che perlustrava la penisola e le isole, con una abnegazione e lungimiranza che oggi non è nemmeno avvicinata dagli highlights di 15 secondi sui social, di cui le folle sono ormai assuefatte, moderno oppio dei popoli.

Chi era? Vittorio Tracuzzi detto il "Trac", della cui epopea cestistica potete abbeverarvi nel bel libro che Gaetano Gebbia gli ha dedicato. Nel 1939 venne convocato a Roma per un raduno della Nazionale giovanile, grazie a quell’osservatore benedetto. Si giocava già a Messina a quei tempi e Tracuzzi probabilmente trasmise anche al suo paese natio quella passione sfrenata.
“Non aveva mai smesso di sognare. All'orizzonte del suo sguardo, da San Filippo del Mela, apparivano spesso le suggestive sagome delle Isole Eolie; in quello della sua immaginazione – che spingeva ben oltre – c’erano campi di gioco, tribune affollate di spettatori, successo! Quella famosa convocazione in Nazionale giovanile non era destinata a restare una meteora”, come interviene Nunzio Spina nel libro succitato.

La società Società Sportiva Peppino Cocuzza di San Filippo del Mela è stata fondata nel 1947, ma la prima partita di pallacanestro si giocò in piena guerra mondiale. Il tabellino ufficiale più antico e conservato, risulta essere quello della partita giocata il 7 febbraio 1943, tra le squadre di San Filippo e di Barcellona Pozzo di Gotto. 
Si tratta di un vero e proprio referto ufficiale di un incontro organizzato sulla terra battuta di piazza “F.P. Fulci” antistante le, allora, nuovissime e funzionali scuole elementari (costruite nel 1930).

Due pali per l’illuminazione elettrica (anche quella una novità per i tempi) fungono da supporti per i canestri realizzati in ferro battuto dal locale artigiano Carmelo Bucolo; le strisce bianche, tracciate con la calce della vicina contrada Calcarone, delimitano il campo di gioco; un pallone di cuoio cucito a mano viene reperito dall’ultima partita di calcio; una mamma si impegna nel colorare le canottiere del figlio e dei suoi amici: nell’acqua bollente mette la polvere azzurra, il colore del Re savoiardo, che ama tanto, e della Nazionale di calcio che allora mieteva successi; alcune ragazze, dopo aver disegnato e ritagliato i numeri da un vecchio lenzuolo, terminano di cucirli sulle maglie. E le scarpette ginniche? Capolavoro di nonna Rosa! Ella, su basi di caucciù, riesce, infatti, a risagomare il feltro di vecchi cappelli e cucirlo con spago cerato fino ad ottenere l’antesignana calzatura sportiva. Purtroppo non può accontentare tutti e qualcuno scende in campo con le normali scarpe quotidiane.

Impeccabili i tre dell’organizzazione: Pippo Pellegrino, studente universitario in medicina, con la passione del giornalismo e della bella calligrafia, procura, presso la G.I.L. (Gioventù Italiana del Littorio) di Messina, un vero referto di gara e si presta a fare il segnapunti ed il commentatore (oggi lo chiameremmo speaker); un altro giovane baldanzoso e atletico, Vittorio Tracuzzi, dopo avere formato ed istruito la squadretta locale, dopo più di un mese di allenamenti invita i ragazzi della vicina Barcellona a confrontarsi con i suoi atleti filippesi.

Ma il grosso problema è trovare l’arbitro; ci vuole un “super partes” che conosca il regolamento e nello stesso tempo abbia il giusto carisma che gli consenta di fare da paciere negli inevitabili “contatti”: non può che farlo Peppino, “u figghiù du cavaleri Cicciu”, sì proprio lui, Peppino Cocuzza, che con i suoi baffetti sembra più maturo dei soli venti anni d’età. 
L’esperienza nella organizzazione di numerose gare sportive gli permette di fare da “trait d’union” tra i giovani delle vicine contrade e città e, nel momento opportuno, di sapere sdrammatizzare e riportare tutti al gioco. 

Un trio inscindibile: Pippo, Vittorio e Peppino! Quando gli impegni universitari glielo permettono, e le bombe della II guerra mondiale tacciono, organizzano scampagnate, giochi popolari e i famosi sabati del ventennio fascista; si cimentano anche nel fare macchiette teatrali per dimenticare, almeno per un attimo, l’orrore della guerra portatrice di fame e disperazione.
Il pubblico accorre, sorride nel vedere quei giovani in mutande e canottiera che tentano, nel riscaldamento, di mettere il pallone dentro un cerchio invece che dentro la rete della porta di calcio; quindi si incuriosisce subito per la novità e si esalta per la necessaria perizia che i giocatori debbono avere nel centrare quel piccolo cesto bucato posto tanto in alto.
Sono le ore 16.00.
I tre si guardano e accennano ad un “ok”, o meglio …… ad un ……..“tutto a posto !” : Peppino fischia, è l’avvio della pallacanestro a San Filippo del Mela.

Questa parte del racconto è tratta dalla pubblicazione "LA PALLACANESTRO A SAN FILIPPO DEL MELA PRIMA CHE ARRIVASSE IL BASKET", che gentilmente il nipote di Peppino, Piero Cocuzza mi ha fatto pervenire, come le foto che riportiamo di seguito.

E adesso sveliamo quell’intreccio tra quel burlone di San Filippo “il giullare di Dio” e il trio magico di mattacchioni filippesi che organizzavano macchiette teatrali per divertire i compaesani oltre che giocare a palla al cesto.

Circa otto anni dopo quella partita ormai ritenuta il battesimo cestistico ufficiale della pallacanestro, la S.S. Peppino Cocuzza, invita tutti i compaesani a partecipare a un evento unico. La sfida contro gli AMERICANI quelli veri. La famosa squadra dei marinai della ELAVENRAK SQUARE sfidava a singolare tenzone i locali del RISVEGLIO.

La pallacanestro pionieristica fa breccia tra i giovani di San Filippo del Mela, nonostante i vertici della neonata società sportiva tenevano più a favorire il movimento ciclistico lasciando più in disparte e senza aiuti economici la società cestista.
Ma se non li aveva fermati la guerra figuriamoci se non si faceva di necessità virtù: poiché per buona parte erano gli stessi che componevano l’associazione teatrale del paese, cominciarono a … recitare per giocare. Oggi, ci raccontano che a volte giocavano recitando.
Gli incassi teatrali servivano a comprare nuove maglie colorate, qualche numero e un pallone un po' più decente (sempre di cuoio cucito a mano)
Un susseguirsi di tornei, tournee, trasferte determina . . . un connubio del tutto filippese fra Teatro & Pallacanestro.
Il “movimento” giovanile che si crea è ammirato da tutto il circondario e per diversi anni allieta e stimola le giornate del comprensorio del Mela.
Le navi statunitensi transitano lo stretto di Messina giornalmente e l’eco del basket americano è già leggenda.
I teatranti-giocatori fanno il “verso” ai poderosi atleti americani ed invitano tutti ad una incandescente partita con i marinai della nave statunitense Elavenrak attraccata nel porto di Messina.
Alle 15.30 del 4 febbraio 1951 gli atleti locali sono in campo a fare riscaldamento, il pubblico è delle grandi occasioni, ma comincia a sbuffare per il non arrivo degli americani.
Gli organizzatori tranquillizzano tutti “abbiamo inviato noi stessi un camion per prenderli …”
“…è partito stamattina alle 8 … dovrebbero arrivare”.
Finalmente un roboante clacson attira l’attenzione dal fondo della via XXIV Maggio, perpendicolare alla piazza; tanta era l’attesa che a molti sembrò il suono di una nave. Erano loro.
Braccia nere uscivano dalle sponde del cassone per salutare i tifosi, sorrisi d’oltreoceano, pronunciavano incomprensibili saluti con evidente accento alla John Wayne, la bandiera a stelle e strisce era tenuta ben salda dalle muscolose braccia di un marine seduto accanto all’autista. 
Il camion “attracca” ai bordi della piazza e stordisce ancora con un ultimo suono di trombone. 
Gli atleti scendono baldanzosi, sono già in divisa con la scritta sul petto ELAVENRAK, sono tutti di colore e quasi quasi, incutono timore anche ai tifosi che per un attimo si zittiscono. 
I nostri della squadra locale sono frastornati, si fermano completamente, si girano e rimangono con la bocca aperta.
A questo punto un megafono annuncia l’arrivo dell’arbitro che simultaneamente esce dalla porta centrale delle scuole elementari. Inizia a fischiare all’impazzata attirando l’attenzione … ha il viso mezzo bianco e mezzo nero, così pure le braccia… anche il pantalone e la maglia sono bicolori.
Solo a quel punto tutti ricordano che giorno è: domenica di carnevale.
Arrivano i musicanti e una risata generale dà l’avvio alle danze italoamericane.
Ma la scritta ELAVENRAK? Il manifesto con ELAVENRAK SQUARE?
Carnevale scritto al contrario, signori… Carnevale in piazza.

A questo punto Piero aggiunge un post scriptum. Le risate continuarono ancora per tutta la settimana. Infatti, per tingersi il corpo di nero i ragazzi usarono ciò che potevano trovare più facilmente: olio motore, grasso meccanico, catrame, lucida scarpe brill, carbone. 
Per alcuni fu difficile togliere il colore dalla pelle e rimasero “neri” per giorni, ma non per caso, più per la passione di divertire, ricordando anche quelli che non c’erano più, come Peppino Cocuzza che li aveva lasciati dopo quella prima partita ufficiale del febbraio 1943.
Come Vittorio, che dalla Sicilia era andato a Roma per la sua prima convocazione cestistica, arrivando ancor più nero di fuliggine ferroviaria, lui già scuro di pelle, così l’amico Peppino, giovane studente universitario, era emigrato a Bologna nel 1943, per dare gli esami, ma quando tornò nell’autunno del 1943, il tifo se lo portò via. Aveva vent’anni.
Nel frattempo gli americani erano sbarcati il 9 luglio 1943, e chissà che Peppino, rincasando a San Filippo del Mela abbia pensato “adesso giocheremo contro quelli veri, e gli faremo vedere noi!”
Oppure gli americani sbarcarono proprio in Sicilia per cercare quella nave Liberty e la loro squadra ELAVENRAK SQUARE, che non risultava in nessuno degli yearbook.

 

Roberto Bergogni (in esclusiva per MDB-MI)

IMMAGINI ALLEGATE

Vittorio Tracuzzi, Peppino Cocuzza e Pippo Pellegrino, i tre pionieri del basket a San Filippo del Mela (per gentile concessione di Piero Cocuzza)

Referto della prima partita giocata dal San Filippo del Mela nel 1943 e allenata da Vittorio Tracuzzi (per gentile concessione di Piero Cocuzza)

Un'immagine della sfida tra le squadre di San Filippo del Mela e Barcellona Pozzo di Gotto del 7 febbraio 1943 (per gentile concessione di Piero Cocuzza)

Manifesto di una delle esibizioni di Pallacanestro-Teatro nel dopoguerra messinese (per gentile concessione di Piero Cocuzza)